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IL PAESE DEI GALLI - 06

2021-04-20 17:36

Sabrina Mills

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IL PAESE DEI GALLI - 06

Giovanni Visentin era stato un’icona del piccolo paese veneto. Da tutti conosciuto come il maestro, aveva insegnato nella scuola elementare fino a che era stata

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Giovanni Visentin era stato un’icona del piccolo paese veneto. Da tutti conosciuto come il maestro, aveva insegnato nella scuola elementare fino a che era stata chiusa per l’esiguo numero di bambini presenti. Da quel momento passò altri dieci anni nella vicina cittadina e poi, raggiunta la massima età, a malincuore, andò in pensione. Come tutti gli anziani, e ancor di più quando si vive in una piccola comunità, quando il tempo è scandito dai pochi impegni, Il vecchio maestro aveva le sue piccole abitudini. Ogni martedì, alle dieci in punto, si recava da Antonio Paduini, il barbiere del paese. O per meglio dire, il parrucchiere che acconciava sia le donne che gli uomini del piccolo agglomerato di case. Giovanni Visentin era conosciuto come una persona squisita, ma anche eccessivamente pedante e pignolo. Salutato il titolare, che in risposta fece un cenno del capo, si accomodò su una delle poltroncine d’attesa addossate alla parete opposta alle due postazioni da lavoro e spiegò il giornale appena preso all’edicola. In quell’ambiente si respirava la stessa aria di cinquant’anni prima, quando Antonio Paduini aveva sostituito il padre nella conduzione della barberia, saltato in aria su un residuo bellico mentre stava passando la motozappa nella sua campagna. Il legno degli arredi, il velluto delle poltrone di legno e ottone, perfino il profumo delle vecchie lozioni che ancora permeavano tutte le superficie porose. Tutto era rimasto immutato nel tempo.

«Uè, Antonio, ma hai sentito il botto di stanotte?»

«Che botto? Comunque, anche se avessero sganciato una bomba sul paese non l’avrei sentita. Lo sai che per dormire devo prendere i sonniferi.»

«Ah, già, i sonniferi.»

Senza dargli altra corda, il vecchio artigiano continuò a sistemare i capelli della signora Feltrin; una spuntatina di forbici a delle punte ancora troppo lunghe, una spruzzata generosa di lacca. Preso lo specchio dal banco davanti a sé lo angolò dietro il capo della cliente per mostrare il lavoro appena concluso.

«Ecco qua bella signora, che ne dice?» era una domanda d’obbligo che Antonio Paduini rivolgeva a tutti i suoi clienti, ma che avrebbe anche potuto evitare; conosceva talmente bene i suoi clienti che avrebbe potuto lavorare a occhi chiusi e il taglio sarebbe venuto nello stesso modo e nessuno se ne era mai lamentato. La spiegazione era che lui ci teneva a essere adulato e anche questa volta ottenne la sua gratificazione.

«Perfetti, Antonio, nessuno saprebbe accontentarmi come fai tu.»

«Tropo buona, Ada.»

Ada Furlan, un’arzilla signora di ottantaquattro anni, era l’unica zitella del paese. Per quanto in molti avessero provato a corteggiarla quando era giovane, lei non aveva mai ceduto a nessuna di quelle lusinghe. Ambita dagli uomini e disprezzata dalle donne, si malignava che esercitasse nella vicina città la pratica del meretricio. Sempre impeccabile nei suoi tailleur firmati, camminava per le vie a testa alta e passo lento, attenta a non incespicare sui tacchi ai quali non rinunciava mai. Conosceva bene ciò che si diceva alle sue spalle, e non faceva nulla per smentire quelle voci.

«Arrivederci Antonio, alla prossima.»

«Arrivederci. Prego maestro, è il suo turno.»

Agendo sul pedale della poltrona, Antonio Paduini abbassò il tanto giusto per avere la testa del cliente all’altezza giusta. Poi, dopo aver spiegato il telo con un gesto deciso, lo poggiò sul petto di Giovanni Visentin e lo strinse al collo con i legacci. Un po’ troppo quella volta, costringendo l’uomo a bloccargli le mani, mentre biascicava qualche parola.

«Mi stai strozzando, Antonio.»

«Scusa Giovanni, devo essermi distratto.»

«Lo so io a che stavi pensando, stai più attento.»

Fissato il telo al collo, questa volta con correttamente, afferrò gli arnesi del suo lavoro e si rimise dietro la poltrona, pronto a cominciare il servizio.

«Non troppo corti, mi raccomando.»

«Si, certo.»

«E le basette squadrate, a metà orecchio.»

«Come al solito, Giovanni.»

«Ricordati la riga sul lato, non troppo marcata.»

«Sì, signore, lo so!»

Ogni risposta alle domande che gli rivolgeva ogni santa volta che si faceva tagliare i capelli, vale a dire ogni martedì da quindici anni, era più stizzita della precedente. Approfittando dell’apparente calma di Giovanni Visentin, impegnato a leggere il giornale, Antoniò continuò nel suo pettina e taglia. Piccoli ciuffi di capelli si ammonticchiavano attorno ai suoi piedi e sulle spalle dell’uomo seduto. Terminato il taglio, spazzolò con delicatezza il collo dai peli che avevano superato l’ostacolo del telo e lo cosparse di talco per lenire la zona rasata.

«Ecco qua, il signore è servito» specchio alla mano, mostrò come prima il retro del capo aspettando un cenno del cliente.

«Uhm, mi sembravano un po’ troppo corti dietro, direi un mezzo centimetro. E sì che ti avevo avvisato. Vabbè. Senti, fammi la barba, se non è troppo disturbo.»

Mezzo centimetro. Mezzo centimetro. Tra sé, Antonio ripeteva come un mantra l’insoddisfazione di Giovanni Visentin. Senza proferire parola, preparò il sapone da barba nel piccolo contenitore di metallo e spennellò per bene il viso. Afferrò la cinghia di cuoio e con movimenti lenti, ma decisi, affilò il vecchio rasoio luccicante. Quando reputò che fosse pronto, lasciò andare la striscia appesa all’angolo del banco e con l’attrezzo affilato tra le dita della mano destra si mise in posa con il braccio a mezz’aria. Piegò delicatamente il viso dell’uomo all’indietro e attese qualche istante.

«Mi raccomando, ho la pelle del collo delicata e spesso si irrita.»

«Stia tranquillo, signore, non sentirà nulla.»

Piccoli movimenti alla testa dell’uomo per trovare la giusta angolazione e con un sol colpo arcuato, incise in profondità la base del collo, tagliando di netto carotidi e giugulari, tendini e nervi. Un fiotto copioso di sangue sgorgò all’istante dalle grosse arterie, spinto a più riprese dai battiti del cuore ancora pulsante. Tutto davanti a sé era ricoperto del fluido vermiglio, il copro ormai esanime di Giovanni Visentin, il banco con gli attrezzi, il grande specchio macchiato dal tempo.

Abbandonò la testa che si piegò inverosimilmente all’indietro, chiuse il rasoio e guardò il corpo immobile riflesso.

«Il signore è servito.»

Poi, chiuse la porta del locale con una mandata di chiave, abbassò le tendine e si apprestò a dare una ripulita per poter accogliere il cliente delle dodici.

 

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