
Tic toc, tic toc, tic toc. Proprio su questa parete dovevano appenderlo, per giunta in corrispondenza del mio divano. E queste pareti che sembrano fatte di carta velina amplificano il movimento meccanico facendomelo entrare nel cervello, come un martello di poche millimetri che batte con cadenza ritmata.
Da settimane ormai sono prigioniero di questa tortura. Che a dirla tutta, con due tappi nelle orecchie lo posso sopportare. Ma la suoneria, quella no, non la sopporto. Ogni quarto d’ora è un dang che fa vibrare i miei timpani. Questo cazzo di orologio a muro suona ogni maledetto quarto d’ora. Un colpo singolo, dang.
Riprendo la lettura del testo da editare nel punto in cui mi ero interrotto, ricostruendo la frase contorta di questo autore emergente; via questa virgola; frase troppo lunga; troppe ripetizioni. E questo? Da dove salta fuori questa cosa? Ah, il colpo di scena, troppo facile.
Plic, plic, plic, plic. E adesso che è sto gocciolare? Dio, mi sembra di impazzire oggi. Se è acqua può venire solo dal bagno. Qui è tutto a posto. Bene, mi mancava la pioggia dal soffitto.
Din don. Din don. «Signora mia, mi piove in casa. Chiuda l’acqua e faccia sistemare la perdita.»
Dove ero arrivato? Ah, sì. Cazzo! I congiuntivi! Dovevo fargli un preventivo più alto per questo manoscritto. Niente, manco la consecutio riesce ad azzeccare.
Dang, dang, dang, dang. Non ce la faccio più, mi fa impazzire questo suono. Devo fare una pausa, una sigaretta per rilassarmi, magari due passi, un caffè al bar.
Beep, beep. Ma che suoni a fare, non vedi che è bloccata la strada.
Bla bla, Bla bla. Che avranno da ciarlare queste due. Beep, beep. Suona, suona che si allarga.
È meglio che rientri, altro che rilassarmi. Dang. Plic, plic, plic. Bang.
«…ancora ignote le cause che hanno portato il professionista a compiere l’insano gesto…»