
Fermo al semaforo, Marco ascoltava il traffico in attesa del segnale acustico che gli consentisse di attraversare l’incrocio. Il bastone sbattuto nervosamente sul cordolo del marciapiede.
Quante volte aveva maledetto il cielo per la condizione in cui si trovava a soli trentatré anni. La diagnosi del medico era stata chiara e lapidaria: neuropatia ottica di Leber, una patologia rara mitocondriale, che causa la degenerazione del nervo ottico e la perdita improvvisa della vista. Fino a qualche giorno prima scherzava sulla età , pari a quella di Cristo sulla croce. Adesso anche lui aveva la sua croce.
La sua vita e il suo mondo erano andati a farsi benedire in un solo mese. Prima all'occhio destro, poi, al sinistro. Irrimediabilmente.
Ora, a distanza di un anno, aveva recuperato un minimo di vista, ma ogni azione che prima svolgeva senza pensarci, gli era difatti impossibile. Nell'oscurità pressoché totale, che fosse giorno o notte, si appigliava a tutto ciò che gli consentisse di non sentirsi un peso per gli altri. Ma non aveva mai accettato questa nuova condizione. Perché a me? Se lo chiedeva sempre più spesso, e sempre più incazzato.
Appena scattò il verde pedonale, il trillo dell’impianto iniziò il suo canto, per consentire a Marco di attraversare l’incrocio. Passo lento, cauto, accompagnato dal ticchettio del bastone sul suolo in cerca di ostacoli.
Undici, dodici. Aveva imparato a contare i passi di ogni incrocio, per evitare di cadere sul bordo del marciapiede opposto. Uno stratagemma che gli aveva suggerito un medico della clinica oculistica. In effetti, l’unico consiglio che aveva seguito, da quando era diventato cieco.
Grafico pubblicitario, passava ore al computer, elaborando video con effetti speciali. La società per la quale lavorava, lo considerava la sua punta di diamante, l’insostituibile. E senza tanti complimenti lo aveva gentilmente invitato ad andarsene. D'altronde, un grafico cieco, a che può servire?
Con altrettanta disinvoltura, Marina, la sua fidanzata da cinque anni, lo aveva lasciato dopo avergli confessato che non era fatta per fare la badante. Secondo quanto riferito dal fratello di lui, adesso si faceva sbattere da un colombiano.
A passo lento e rasente al muro, Marco camminava verso la sua meta. Il brusio fatto di parole sempre più confuse, confermò che si trovava nei pressi della metro. Doveva solo entrare e raggiungere il primo binario. Con il bastone, usato come un radar, individuò il percorso sensoriale che conduceva alla porta principale e alla scala mobile che lo avrebbe portato al piano inferiore. All'interno della metro le voci dei viaggiatori si unirono agli avvisi tecnici e allo sferragliamento dei treni.
Nonostante la disgrazia e le suppliche della madre, non aveva voluto lasciare il suo appartamento per trasferirsi nella casa natia. Non le avrebbe mai permesso di trattarlo come un disabile, per quanto, a tutti gli effetti lo fosse. Passava giorni interi senza uscire, a piangere e maledire il cielo nel silenzio del suo soggiorno.
Ciò che i suoi occhi vedevano, era solo un contorno sfocato degli oggetti, delle persone. Lui, giocatore semi professionista di carambola, doveva fare i conti con la maleducazione della gente: macchine parcheggiate sul marciapiede, alle quali puntualmente sbatteva, merda di cane non raccolta, che finiva sotto le sue scarpe. Giorno dopo giorno accumulava livore contro tutto e tutti.
Marco aveva sempre avuto un carattere solare, sorridente e aperto con le persone. Da quando si era reso conto di essere diventato una pedina nelle mani degli altri, si era ingrigito. Intollerante e scontroso, trasformava ogni piccolo gesto di cortesia in un’offesa. Gli amici di una vita, evitavano accuratamente qualsiasi aiuto, ma in breve anche loro dovettero rassegnarsi, fino a rendere i loro incontri sempre più diradati.
Non è più lui, dovrebbe provare ad accettare ciò che gli è successo. Chiunque lo conoscesse lo compativa, confermava il suo cambiamento repentino.
Arrivato alla banchina fu investito da un calore infernale proveniente dai tunnel. Si fermò e attese l’arrivo della metro. Le vibrazioni percepite dalla piattaforma lo avvisarono che era in dirittura d’arrivo, avanzò di due passi. Percepiva le mattonelle gialle rialzate che delimitano la zona di sicurezza. Fece un passo in avanti. Nessuno si diede conto di quella sagoma che avanzava verso il bordo, finché non si gettò sotto la motrice della metro.